Una vicenda ancora poco conosciuta.
1930 – 1980: Tra le due guerre e la seconda ondata femminista
Episodio 3
Dopo il breve intermezzo della scorsa puntata in cui abbiamo approfondito insieme uno degli avvenimenti che spesso vengono indicati come origine della Festa della donna, l’Incendio della fabbrica Triangle Shritwaist Company, quest’oggi torniamo a parlare di femminismo analizzando in particolare la situazione italiana tra i due conflitti mondiali, concludendo con una panoramica di quello che è stata la seconda ondata femminista nata negli Stati Uniti attorno agli anni Sessanta del Novecento.
Come sempre, prima di addentrarci nel discorso, vi chiedo di essere pazienti e di comprendere le obbligate semplificazioni dettate da ragioni di spazio e di tempo trattandosi di un argomento molto ampio e con tanta stoia alle spalle: lungo l’articolo ho inserito alcuni link di approfondimento.
Prima ondata femminista

1906
Secondo quanto riportato dagli studiosi del fenomeno, i primi movimenti per l’indipendenza femminile iniziano a diffondersi nell’Occidente a partire dalla seconda metà del XIX secolo sfociando in veri e propri cortei durante i primi anni del Novecento.
Numerosi scioperi portano le donne – organizzate nell’ampio movimento delle Suffragette – e alcuni uomini a manifestare insieme per le strade delle grandi città chiedendo ai governi l’introduzione del suffragio universale femminile e l’approvazione di leggi a tutela della parità di genere tra uomini e donne – quest’ultime infatti vengono impiegate in fabbriche in cui sono obbligate a estenuanti turni di lavoro mal pagati.
Con la dichiarazione di guerra, nel luglio del 1914, gran parte della popolazione maschile è chiamata alle armi, il che obbliga i datori di lavoro ad assumere al posto loro le donne che iniziano a ricoprire ruoli pubblici: diventano postine, conduttrici di mezzi di trasporto, manovali e così via dimostrando una grande abilità di adattamento a qualsiasi mansione venga loro assegnata – stando così le cose, è inevitabile registrare un indebolimento dei movimenti femministi e delle loro manifestazioni pubbliche.
Nonostante questa condizione, in alcuni paesi come la Russia, gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Penisola Iberica, le donne riescono ugualmente a procedere a piccoli passi ottenendo i primi importanti riconoscimenti: il nascente Partito Comunista dichiara il suffragio universale nel 1918 riconoscendo alle donne un ruolo da protagoniste nella lotta allo zarismo, l’America estende il diritto di voto nel 1919 iniziando a varare leggi per la regolamentazione delle ore di lavoro e delle condizioni di impiego femminili, nel Regno Unito viene ufficializzato il suffragio femminile nel 1928 mentre Spagna e Portogallo allargano il voto anche alle donne nel 1931.
Il periodo di transizione tra la prima e la seconda ondata femminista

1942
Il periodo di tempo che va dalla fine della Prima Guerra Mondiale al Secondo dopoguerra viene solitamente indicato come un momento di transizione tra la prima ondata femminista e la seconda che ha inizio attorno agli anni Sessanta del XX secolo.
Quello che accade in quasi quarant’anni di storia viene riportato nelle forme artistiche più disparate dalla mano di donne che non sembrano avere alcuna intenzione di abbandonare la propria battaglia; in questo contesto, alcune delle personalità più forti ed eccentriche sono state Simone de Beauvoir in Francia, Virginia Woolf in Inghilterra e Luisa Muraro in Italia – tratteremo la figura della Muraro nel prossimo articolo.
Il pensiero di queste donne serve alle femministe, ancora attive ma assopite in una società che le spinge alla procreazione finalizzata a un ripopolamento postbellico e alla cura della casa, come promemoria per quando i tempi saranno di nuovo maturi per riprendere gli striscioni e scendere in piazza gridando a pieni polmoni il proprio diritto di indipendenza e di parità dei diritti.
In Italia, con l’avvento del fascismo durante i primi anni Venti del Novecento, la condizione femminile muta riportando la donna dalle fabbriche e da una prima timida apertura alle cariche pubbliche, a una condizione di custode della casa finalizzata alla salvaguardia della famiglia che deve essere sempre più numerosa per garantire braccia forti al servizio della Patria.
L’immagine della donna casalinga viene propagandata dal partito che, grazie alla promulgazione dell’Enciclica Casti Connubii del 1930 da parte della Chiesa e i precedenti Patti Lateranensi stretti con essa nel 1929, viene supportato nella sua ideologia dal Credo che definisce inammissibile l’idea della parità tra i sessi.
In questo clima di serrato controllo tra Stato e Chiesa, le Associazioni femminili cattoliche riescono comunque a mantenere il proprio ruolo di centri di aggregazione e formazione per le donne italiane – durante i difficili anni della segregazione razziale un piccolo numero di gruppi femminili, guidato da donne ebree, fornisce protezione e supporto ai membri della comunità.
Con l’affermarsi del fascismo e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, la condizione femminile si aggrava ulteriormente permettendo solo ad alcune donne la libera espressione e il libero pensiero: tra le elette, l’amante del Duce, Margherita Sarfatti, autrice della biografia celebrativa intitolata Dux pubblicata nel 1926 e presto tradotta in ben 18 lingue.
A tutte quelle donne che non possono godere di questa immunità non resta altro da fare che diventare membri della Resistenza in qualità di staffette di collegamento o di soldatesse armate o ancora vestendo i panni di abili e scaltre generali.
Persino nello sport, in cui le atlete italiane si distinguono durante le Olimpiadi del 1928 guadagnando la medaglia d’argento, l’abilità femminile deve essere contenuta per limitare il pericolo di una loro sempre crescente indipendenza e visibilità all’interno della società.
Dimostrare apertamente che anche le donne possono eccellere in alcuni sport come l’atletica può portare le stesse a guadagnare un potere eccessivo tant’è che, in accordo con la Chiesa, il regime fascista impedisce alle atlete italiane di partecipare ai giochi olimpici del 1932.
Quattro anni dopo, nel 1936, la ginnasta Ondina Valla conquista la medaglia d’oro olimpionica: è l’ennesima dimostrazione di quanto le donne non abbiano nulla da invidiare agli uomini.

Anni ’50
Secondo dopoguerra
Questa volta le donne non intendono accontentarsi e nell’ottobre del 1944, in un’Italia ancora occupata dalle truppe nemiche, membri dei partiti di sinistra – PCI [Partito Comunista Italiano], PSI [Partito Socialista Italiano], PdA [Partito d’Azione], Sinistra Cristiana e Democrazia del lavoro – si uniscono per dare vita all’UDI [Unione Donne d’Italia]: attraverso quest’unica voce esse pretendono il loro ufficiale riconoscimento al diritto di voto a seguito dell’importante ruolo da loro ricoperto durante la Resistenza.
Nel frattempo, in Francia, il governo dichiara ufficialmente le donne parte integrante dei cittadini aventi diritto di voto.
Il 1° febbraio 1945 il governo De Gasperi-Togliatti concede il diritto di voto a suffragio universale – tale legge viene ufficializzata alla promulgazione della Nuova Costituzione Italiana del 1948.
Per festeggiare questo importante traguardo, le donne dell’Italia liberata scendono nelle piazze per celebrare l’8 marzo supportate dai membri dell’UDI che inizia a diffondere un mensile di divulgazione femminista: Noi donne.
Nel 1946 tutte le donne d’Italia festeggiano e questa volta, per volontà delle partigiane Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei, fa la sua prima comparsa la mimosa eletta a simbolo identificativo del giorno dedicato alla donna.
Così come in Italia, anche nel resto del mondo, le associazioni femminili iniziano a muovere i primi timidi passi; Londra invia una richiesta all’ONU per l’ufficializzazione della Carta della donna, un documento datato 1946 in cui vengono elencati tutti i diritti che dovrebbero essere riconosciuti alla donna.
Fino a questo momento, abbiamo associato i movimenti femministi con i partiti e i membri appartenenti alla sinistra – sia essa comunista o socialista – e questo è un aspetto da non sottovalutare, specialmente nel momento in cui esibire la mimosa durante l’8 marzo diventa un gesto di minaccia all’ordine pubblico e distribuire il giornale dell’UDI, allestendo piccoli banchetti nelle piazze di paesi e città, viene visto come un atto di occupazione abusiva del suolo pubblico.
Queste sono solo alcune delle visibili conseguenze della Guerra Fredda che imperversa tra Stati Uniti e Unione Sovietica – stato comunista a cui viene da sempre associata la nascita e l’ufficializzazione dell’indipendenza femminile.
Seconda ondata femminista

Manifestazione in Piazza Navona
Roma
Arriviamo così agli ultimi anni Cinquanta in cui le socialiste italiane Giuseppina Palumbo e Giuliana Nenni insieme alla comunista Luisa Balboni presentano al governo la proposta per il riconoscimento ufficiale della giornata dedicata alla donna: inutile dire che questa cade nel vuoto ancora per qualche tempo.
Ma non tutto è perduto, infatti nel 1959 nasce il Corpo di polizia femminile per la salvaguardia dei minori e delle donne che resta attivo fino al 1961, anno in cui viene integrato nella Polizia di Stato.
In questo stesso periodo fa scandalo il saggio pubblicato da Gabriella Parca, dal provocatorio titolo Le italiane si confessano, in cui l’autrice denuncia senza mezze misure le ingiustizie a cui le donne vengono costantemente sottoposte.
Negli Stati Uniti intanto, il prototipo della donna casalinga circondata dagli elettrodomestici di nuova generazione e perfettamente inserita nella nuova società consumistica, inizia a far germogliare i primi boccioli di una pianta che, ben radicata al terreno attraverso forti e lunghe radici, è finalmente pronta a sbocciare.
Da questi luoghi, all’inizio degli anni Sessanta, si scatena una seconda ondata femminista che proclama l’8 marzo la Giornata della lotta delle donne.
Esse sono nuovamente unite e forti, pronte a scendere nelle piazze chiedendo questa volta, non solo pari uguaglianza agli uomini nel diritto di voto e nell’impiego, bensì ampliando la loro richiesta alle sfera casalinga, al diritto di procreazione e di sostegno e cura dei figli.
Pretendono l’abolizione delle disuguaglianze de facto e di quelle giuridiche ufficiali, gridano alla parità dei sessi in ogni sua forma di espressione sociale e personale. Vogliono la parità economica, la possibilità di chiedere il divorzio e una legge che riconosca e prevenga atti di violenza psicologica e fisica.
Spinte dai movimenti che stanno facendo sentire la propria voce in tutto l’Occidente, le donne italiane iniziano a prendere coraggio riorganizzandosi in gruppi pronti a scendere in piazza imbracciando striscioni e bandiere per rendere partecipe il mondo dell’esistenza di una condizione femminile che merita di essere riconosciuta, discussa e gestita dagli organi di governo e dall’intera collettività.
Ha inizio la seconda ondata di femminismo che comincia a mostrare volti di donne alle più alte cariche di governo: nell’Italia degli anni Settanta Tina Anselmi assume la carica di Ministra e Nilde Iotti quella di Presidentessa della Camera dei deputati mentre, nel 1982, Camilla Ravera è nominata Senatrice a Vita dal governo Pertini.
Nel 1969 le donne si riuniscono in gruppi sempre più numerosi: nascono il Fronte Italiano di Liberazione Femminile (FILF) e il Movimento per la Liberazione della Donna (MLD).
Le donne non si fermano!
Negli anni Settanta viene varata una legge per la legalizzazione del divorzio e, a Roma e Milano, Carla Lonzi fonda il giornale Rivolta Femminile accompagnato da un manifesto che attira l’attenzione su un importante aspetto della lotta femminista ancora poco considerato: «il mondo dell’eguaglianza è il mondo della sopraffazione legalizzata, dell’unidimensionale; il mondo della differenza è il mondo dove […] la sopraffazione cede al rispetto della varietà e della molteplicità della vita. L’uguaglianza tra i sessi è la veste in cui si maschera oggi l’inferiorità della donna.»
Così recita Lonzi nel saggio scritto nel 1974 e intitolato Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale – in questo suo scritto, l’autrice intende far comprendere alle donne e all’intera comunità l’esistenza di una femminilità ben più complessa di quella che fino a quel momento era stata sottoposta alla valutazione di leggi e diritti.

Anni ’70
Questa volta le donne domandano il riconoscimento di una propria identità sessuale e di genere che esula dalla semplice applicazione di leggi uguali per tutti volte all’omologazione degli individui e a un’inevitabile condizione di rottura all’interno dell’ambiente femminile che, per essere considerato pari agli uomini, deve sviluppare una sorta di rigetto verso il proprio sesso.
Nel 1971 le donne in gravidanza non possono più essere licenziate dalle aziende.
Nel 1972, a Trento, un gruppo di cinque studentesse si unisce in un collettivo chiamato Lotta femminista: nasce così il secondo movimento femminista italiano che scatena una serie di pacifiche manifestazioni dopo la pubblicazione di un saggio che mette bene in evidenza e denuncia con forza lo sfruttamento a cui la donna è costretta come lavoratrice nelle aziende e come amante nei rapporti di coppia.
Alle celebrazioni dell’8 marzo del 1972 in Campo dei Fiori a Roma, le donne scendono in piazza mostrando pacificamente i propri striscioni su cui sono riportati messaggi a favore della libertà sessuale e della legalizzazione dell’aborto (tra di esse appare anche una trentacinquenne Jane Fonda).
Nel 1977 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite invita i membri dei vari stati aderenti a considerare l’8 marzo la Giornata delle Nazioni Unite per i diritti della donna e la pace mondiale liberando in fine questa ricorrenza dal giogo comunista per includere nel movimento donne appartenenti a qualsiasi credo, etnia, età e condizione sociale.

Il femminismo diventa la lotta di tutte le donne per le donne che non devono accettare di omologarsi alla società maschilista che tenta di guidare il processo di emancipazione femminile garantendo una condizione di parità di fatto e obbligando la donna libera e indipendente ad odiare le propri simili: «disprezzo per il proprio sesso. Questo rinnegamento della parte perdente, dentro e fuori di sé, fa sì che tra le poche donne affermate socialmente molte siano in sostanza delle conservatrici o delle reazionarie» – da il Sottosopra 1983
La seconda ondata femminista giunge al termine attorno alla fine degli anni Ottanta del Novecento per dare spazio alla terza ondata femminista che lotta principalmente per la libertà sessuale e il riconoscimento di una femminilità sociale oltre che giuridica.
Noemi Veneziani