Una vicenda ancora poco conosciuta.
Femminismo della differenza
Episodio 4
«L’umanità è a due e bisogna divinizzare questa condizione, coltivare il nostro essere in relazione con il prossimo.»
Recita così Luce Irigaray al Festival della Letteratura di Mantova il 6 giungo 2006.
Cosa significa considerare l’umanità a due?
In che relazione si pone quest’affermazione con il movimento femminista?

Vi ricordate quando, nel primo articolo del mese di marzo, abbiamo dato la definizione di femminismo?
Femminismo: Movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne; in senso più generale, insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una diversa collocazione sociale in quella pubblica.
Prendiamo a riferimento la seguente frase: «propongono nuove relazioni tra i generi», dove per genere si deve intende quell’insieme di condizionamenti sociali a cui un individuo viene sottoposto nel momento in cui fa il suo primo ingresso nella società attraverso un linguaggio fatto di segni e di parole; un ordine simbolico a cui l’essere umano viene educato a interpretare un ruolo in base al proprio sesso: forti gli uomini, deboli le donne, lavoratori gli uni, casalinghe le altre.
Dovete perdonarmi la semplificazione ma questa si rende necessaria nel momento in cui bisogna fare chiarezza su un argomento che, ancora oggi, può dare qualche difficoltà interpretativa: sto parlando della differenza che esiste tra sesso e genere poiché, se il secondo deriva da un comportamento assunto dalla e nella collettività, il primo è invece una condizione fisica determinata dalla natura.
Soffermarsi su questa distinzione nel momento in cui si sta trattando il tema del femminismo servirà a comprendere meglio, non solo il concetto che andrò a esporvi tra breve, ma sarà utile nel momento in cui ci accingeremo a indagare, per sommi capi, la terza ondata femminista che ha preso forza proprio dalla necessità di ridefinire i confini dell’essere femminista facendo leva sulle diversità di sesso e di genere.
Il femminismo della differenza

È l’anno 1974 quando Luce Irigaray – attivista belga, filosofa, psicanalista e Direttrice di ricerca del CNRS [Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica] – scrive un saggio che diventa uno dei testi di riferimento per l’intera comunità femminista di Francia e non solo: Speculum. L’altra donna.
In questa pubblicazione la Irigaray tratta la condizione femminile come un’entità nascosta all’uomo e basata sulla differenza di quest’ultima rispetto al maschio contrapponendo allo specchio – elemento principe della teoria dello Stadio dello specchio, propugnata dallo psichiatra Jaques Lacan, secondo cui il riflesso del bambino allo specchio sarebbe il primo momento di formazione di un’identità diversa rispetto a quella dei genitori – uno speculum che, a differenza dello specchio che riflette le immagini per come sono, ne analizza l’interno facendosi largo nelle profondità del corpo umano.
Partendo da questo assunto e analizzando più nel dettaglio la condizione dei bambini all’interno della società, Irigaray nota come l’ordine simbolico – composto da gesti e parole – sia un elemento centrale in quello che ella considera una forzata educazione basata sulla corrispondenza di sesso-genere e volta alla neutralizzazione delle due parti in un unico carattere maschile.
Questo significa che se un bambino nasce femmina (sesso) dovrà essere educato a ricoprire un determinato ruolo all’interno della società (il debole) e per riuscire a non sottostare a questa legge deve omologarsi all’uomo negli usi e nei costumi andando a creare una crepa all’interno del mondo femminile che ella potrebbe iniziare a sminuire nello stesso modo in cui accade per gli uomini nei confronti della loro controparte femminile che, in difetto fisico e psicologico (secondo un noto assunto freudiano), sembra vagare alla ricerca di ciò di cui si sente priva.
Eppure, se si facesse uso dello speculum – uno strumento utilizzato per ampliare una cavità anatomica, diffusamente impiegato in ambito ginecologico –, l’uomo potrebbe scoprire una dimensione meravigliosa ed estremamente complessa che differenzia la donna in quanto femmina (sesso) ma non in quanto essere sociale (genere).
Ciò detto, la donna – come l’uomo – dovrebbe essere libera di esprimersi attraverso la valorizzazione delle proprie caratteristiche andando contro al principio di omologazione imposto dalla società patriarcale che, ignara della forza femminile celata nella propria dimensione interiore, tende a rigettarne l’esistenza.
«Per la femmina la realtà della sua castrazione significa in fondo questo: “voi uomini non ci vedete niente, non ne sapete niente, non vi ci ritrovate, non vi ci riconoscete. E questo vi è insopportabile. Dunque non esiste, non c’è niente.» – Speculum. L’altra donna
Luisa Muraro

Sulla scia delle analisi di Irigaray, l’italiana Luisa Muraro – vicentina di nascita e lombarda per adozione – porta avanti la tesi secondo cui esisterebbe una dimensione primaria, composta di segni e di parole, completamente diversa rispetto al linguaggio voluto e insegnato dalla società patriarcale.
Questa dimensione, che sta alla base della differenza tra maschi e femmine e che se ne guarda bene dall’adottare un linguaggio neutro, è identificabile come un ordine materno, un legame che la femmina stringe con i propri figli e che non è possibile ridurre alla meccanica produzione dei corpi per la sua evidente carica sociale e politica.
Tutti discendiamo da una madre, da un genere femminile, che insegna ai figli il proprio linguaggio fatto di parole e di segni che non mirano alla neutralizzazione dei due sessi bensì a una pacifica convivenza degli stessi garantita dall’autorità esercitata dalla donna la quale, perché portatrice di entrambi i sessi, è in grado di mediare e di accogliere nel proprio e unico universo la controparte maschile valorizzando gli attributi delle une e degli altri.
Secondo la Muraro, a differenza di Irigiray, esistono maschi e femmine come entità distinte ma queste fanno parte di un unico universo, quello femminile, in grado di accogliere in se stesso le differenze che intercorrono tra i due sessi.
La Muraro spiega bene questo suo pensiero in un saggio pubblicato nel 1991 che diventa un testo molto importante nella letteratura femminista italiana della terza ondata: L’ordine simbolico della madre.
Donne e uomini sono dunque individui differenti e pertanto dovrebbero vedersi riconosciuti diritti e doveri appropriati in modo che entrambe le parti possano ottenere una parità basata sulla ricchezza della diversità che diventa prerogativa di vita comune e di multiculturalismo.
Esistono le donne ed esistono gli uomini come individui differenti e in questa loro differenza entrambi riescono a trovare la propria essenza e la propria realizzazione riuscendo a creare una società più responsabile e aperta alle diversità.
Breve nota biografica: Luisa Muraro

Dopo aver conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università di Milano, la Muraro inizia a insegnare nella scuola dell’obbligo ambito in cui, negli anni Settanta, ella decide di partecipare a un progetto rivolto alla realizzazione di una scuola antiautoritaria riportando la sua esperienza nel libro intitolato L’ Erba voglio: pratica non autoritaria nella scuola (1973).
Impegnata socialmente e forte della sua esperienza da insegnante, nel 1975, la Muraro è tra le fondatrici di un’associazione, tutt’oggi attiva, composta da un gruppo di donne appartenenti alla DEMAU [demistificazione al posto di contro] – gruppo femminista nato per volontà dell’attivista Daniela Pellegrini nel 1965 – il cui scopo è quello di informare ed educare le donne all’ottenimento di una propria e pacifica indipendenza.
La Libreria delle donne di Milano diventa un centro molto importante per la teorizzazione per il femminismo basato sulla differenza sessuale – anche in questo caso la Muraro decide di raccoglie i momenti di esperienza in un volume intitolato Non credere di avere diritti.La generazione della libertà femminile nell’idea e nelle vicende di un gruppo di donne (1983).
Link per approfondire: Luisa Muraro: L’ordine simbolico della madre
Conclusione
Con questa questa breve ma intensa riflessione, spero di avervi dato la possibilità di comprendere più a fondo alcune delle questioni che iniziano a muoversi durante la seconda ondata femminista e che diventano poi i veri motori propulsori per una terza grande ondata che si fa portavoce di una richiesta di inclusione, di tolleranza e di multiculturalità sessuale, sociale, etnica e religiosa.
Noemi Veneziani