Una vicenda ancora poco conosciuta.
1990 – Oggi: Terza e quarta ondata femminista
Episodio 5
Prima ondata femminista: Le donne lottano per l’acquisizione del diritto di voto.
Seconda ondata femminista: Le donne lottano per la parità dei diritti sul lavoro e per l’eliminazione della discriminazione sessuale legale.
Terza ondata femminista: le donne lottano per la libertà sessuale e la demolizione delle differenze di genere.
Terza ondata femminista
«Scrivo questo come un appello a tutte le donne, in particolare alle donne della mia generazione: lasciate che la conferma di Thomas serva a ricordarvi, come lo ha fatto per me, che la lotta è tutt’altro che finita. Lasciate che questo rifiuto dell’esperienza di una donna vi spinga alla rabbia. Trasformate quell’indignazione in potere politico. Non votate per loro a meno che non lavorino per noi. Non fate sesso con loro, non dividete il pane con loro, non nutriteli se non danno priorità alla nostra libertà di controllare i nostri corpi e le nostre vite. Non sono una femminista post femminista. Io sono la terza ondata.»

Sono le forti parole di Rebecca Walker (link in inglese), in un articolo apparso sulla rivista Ms. Magazine nel 1992, a echeggiare nella mente di tutte quelle donne che, a partire dagli anni Novanta, iniziano a rendersi conto dell’esistenza di un problema di cui non si erano accorte fino a quando, il verificarsi di due episodi in particolare, ricorda loro quanto ancora la lotta sia lunga e difficile.
Nel 1991, negli Stati Uniti, Anita Hill denuncia il giudice afroamericano Clare Thomas per molestie sessuali. La Corte Suprema di Giustizia decide di far cadere le accuse sostenendo che il giudice stesse lavorando per la tutela dei diritti dei neri in America.
Nel 1992, in Italia, una giovane viene violentata dal proprio istruttore di guida che la minaccia di morte. Tornata a casa ella trova il coraggio di raccontare l’accaduto ai genitori che denunciano l’uomo.
«La ragazza quel giorno indossava un paio di jeans molto stretti che non avrebbero potuto essere tolti senza il suo aiuto» e così il rapporto di stupro si trasforma in un rapporto consensuale.
Con la prima e la seconda ondata femminista le donne hanno conquistato la rappresentanza agli organi di governo, la promulgazione di leggi che permettono loro più libertà nella gestione della famiglia e hanno ottenuto condizioni di lavoro simili a quelle degli uomini.
Possono vestirsi come vogliono senza preoccuparsi del giudizio altrui ma, evidentemente qualcosa non torna, qualcosa ancora manca perché il corpo femminile resta proprietà dell’uomo e a disposizione dell’uomo che ne può fare ciò che vuole e questo è un evidente segno di quanto ancora ci sia da lottare per comprendere che quando si dice «NO!» è «NO!» indipendentemente dal sesso e/o genere.
Le protagoniste di questa terza ondata di femminismo sono figlie della seconda, nate in un mondo in cui il femminismo era all’ordine del giorno, una condizione normale, quotidiana. Un mondo in cui non sembrava più esserci bisogno di parlare di femminismo poiché ciò che le donne avevano chiesto in precedenza era stato loro concesso.
Ciò di cui le giovani generazioni si rendono conto è che di femminismo è ancora necessario parlare per arrivare a tutte le persone, senza nessuna esclusione, come invece era accaduto negli anni Sessanta e Settanta in cui le persone di colore, la comunità LGBT o ancora tutti gli appartenenti alle classi più povere della società venivano spesso lasciate ai margini.

Si inizia a parlare di intersezionalità e le persone cominciano a comprendere a quante molestie le donne siano sottoposte quotidianamente.
È nella singola casa che deve arrivare il messaggio di inclusività e di libertà sessuale su cui fanno leva le giovani femministe che iniziano a utilizzare canali differenti rispetto a quelli delle loro madri.
Dalla fine degli anni Novanta, passando attraverso blog e e-zinie (riviste amatoriali on-line), esse si tengono in contatto per lottare unite nella distanza, tutte insieme nella propria individualità potendo scambiare con un click le proprie esperienze, i propri dubbi e le proprie paure sentendosi finalmente capite e meno sole.
Per questo suo carattere di individualità il femminismo della terza ondata viene accusato di essere sconclusionato e privo di un obiettivo comune, una sorta di Femminismo di seconda ondata. Parte seconda.
Questa volta le femministe passano attraverso le piccole azioni tentando di sensibilizzare l’opinione pubblica a un problema che si rivela tutt’altro che risolto: il corpo femminile viene utilizzato dai media dando per scontato che sia un bell’oggetto da mettere in mostra e da utilizzare a proprio piacere.
Per questo motivo, vestirsi con jeans stretti o con qualsiasi capo si desideri, diventa poco alla volta, il simbolo di una resistenza e di una protesta nei confronti di un corpo che appartiene sì a qualcuno, alle donne che lo vivono: si chiama libertà di espressione, positività sessuale e libertà dallo stereotipo di genere.
Poco alla volta le femministe iniziano a comprendere l’importanza di ridefinire il concetto stesso di essere femminista adattandolo ai tempi che cambiano e alle esigenze sociali e politiche in continua evoluzione – le donne protagoniste della seconda ondata faticano a comprendere questo carattere identificativo di una nuova generazione di femministe al passo con i tempi, opponendo resistenza alle nuove armi di questa eterna battaglia.
La quarta ondata femminista
Nel 2010 però le cose non cambiano e la diffusione sempre più ampia dei media fa della donna femminista una moda, un modello da imitare spogliato completamente dal suo significato più profondo.
“Il femminismo mainstream ha un grosso problema, quello di aver confuso la forma con la sostanza, quello di aver sostituito ai principi di parità i principi di apparenza, appiccicando hashtag e lustrini su idee che vanno ben oltre il semplice concetto di moda e tendenza”. Citazione tratta da Il femminismo non è una gif di Beyoncé o una t-shirt di Dior
Il bisogno di fare chiarezza diventa sempre più importante per le nuove generazioni e per tutte quelle femministe che si sentono rivolgere sempre la stessa domanda da tanto tempo: «Cosa significa essere femminista?»
Essere femminista significa adottare un punto di vista che rispetti le diversità osservandole e apprezzandole per come esse sono.
Essere femminista significa condividere e fare proprio un metodo di approccio alla vita e al prossimo.

Nel XXI secolo la lotta femminista parla ancora di inclusività coinvolgendo il movimento LGBT e sensibilizzando l’opinione comune su tematiche importanti come l’accettazione del proprio corpo, del proprio orientamento sessuale e la liberazione dalla rigida impostazione di una corrispondenza tra sesso e genere di cui è ancora impregnata la nostra cultura.
Il nuovo femminismo combatte per gli episodi di slut shaming di cui sono protagoniste le vittime di stupro e scende ancora in piazza per urlare che la lotta non è finita e che le femministe sono ancora attive e presenti in mezzo a noi.
Attraverso l’uso di internet nascono fenomeni di massa, veri e propri cortei mondiali, lotte combattute a suon di hashtag e per le strade delle grandi città e sui palcoscenici di cantanti famose che urlano a gran voce che tutti dovremmo essere femministi per quello che l’ideale femminista di tolleranza, pace e inclusione porta con sé.
Nel 2015, dopo l’uccisione della quattordicenne argentina Chiara Paez, le donne scendono in piazza al grido «No una menos»; lo stesso movimento, «non una di meno», arriva anche in Italia dopo il femminicidio della studentessa ventiduenne Sara di Pietralunga bruciata viva dal compagno a Roma.
Nel 2017 nascono numerosi movimenti antimolestia, come #MeToo e #quellavoltache, pronti a scendere in piazza con i loro striscioni e le loro voci supportati da movimenti come HeForShe e Free the Nipple che lottano per la parità tra generi (gender equality)
Il 21 gennaio 2017, a Washington, viene organizzata la Women’s March in risposta all’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e, a seguito delle accuse di stupro a carico dell’attore statunitense Bill Cosby, le femministe decidono di intervenire rendendo pubblico un documento che filma 10 ore di passeggiata a New York – di una ragazza in jeans e maglietta – per dimostrare l’esistenza del catcalling a cui le donne vengono quotidianamente sottoposte.

In più occasioni le donne decidono di incrociare le braccia sul posto di lavoro affermando che, se i loro diritti possono essere calpestati e le loro richieste rimanere inascoltate, allora anche il loro lavoro potrà attendere tempi migliori per essere svolto.
Queste sono solo alcune delle iniziative che, a partire dal 2010 iniziano a diffondersi in tutti i paesi del mondo risvegliando gli animi assopiti e mostrando al mondo che il femminismo è ancora vivo e pronto a continuare la propria battaglia.
Questo era l’ultimo articolo dedicato alla donna in un mese in cui le mimose tendono a far dimenticare tutta la lotta che quest’ultime hanno combattuto e che combattono tutt’ora nella vita quotidiana. Sono consapevole del fatto che tanto altro si potrebbe e si dovrebbe dire in merito a un argomento così delicato e importante ed è per questo che ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi durante queste cinque lunghe e difficili puntate attraverso cui ho voluto indagare, per sommi capi, ciò che il Femminismo è stato ed è tutt’oggi.
In coda all’articolo vi lascio qualche link di approfondimento:
Women’s March 2020 (Pagina Ufficiale in inglese)
Bossy. Beyond Stereotypes (Pagina Ufficiale in italiano)
10 Hours of Walking in NYC as a Woman (Video 1.56 minuti)
Chimamanda Ngozi Adichie – Dovremmo essere tutti femministi (Video della conferenza in lingua inglese sottotitolato in italiano)
Free the Nipple (Trailer ufficiale 2014)