Dopo aver parlato di devastanti incendi e incalliti ladri di libri, ho pensato che fosse doveroso mostrarvi anche una delle meraviglie del mondo conservate proprio nel nostro Paese, più precisamente, nella bella Romagna.
A Cesena, si trova infatti la prima biblioteca civica d’Italia e d’Europa: la Biblioteca Malatestiana, perfettamente conservata nella struttura, negli arredi e nel patrimonio librario.
«La splendida Biblioteca Malatestiana di Cesena è il cuore della cultura della Romagna» (Guido Piovene, Viaggio in Italia)
Fortemente voluta dai frati francescani ormai impossibilitati a conservare tutti i loro volumi nella precedente biblioteca, attorno agli anni ‘40 del XV secolo, venne fatta richiesta all’allora Signore di Cesena – Domenico Malatesta – di una nuova libraria che permettesse al convento di riposizionare i volumi e di creare un nuovo studium.
La richiesta venne accettata di buon cuore dalla famiglia Malatesta, la quale si adopererò per la ricerca e l’impiego di un qualificato architetto: venne individuata la figura di Matteo Nuti da Fano, discepolo dell’Alberti, il quale si rivelò essere perfettamente all’altezza dell’impresa assegnatagli.
I lavori iniziarono nel 1447 e, in momenti differenti, vennero rese accessibili le diverse stanze di ampliamento, fino al 1452, anno di fine lavori.
Il 15 agosto del 1454 venne ufficialmente aperto al pubblico il nuovo studium.
A chi mise piede per la prima volta nella nuova sala, essa si presentava come una piccola chiesa.
Il massiccio portone sovrastato dal timpano riportante l’insegna dei Malatesta – un elefante con cartiglio che recita Elephos Indus culices non timet (L’elefante indiano non teme le zanzare) – introduce il visitatore in una sala maestosa per sobrietà e struttura: lo spazio organizzato in tre navate divise da una fila di colonne, le alte finestre posizionate a due a due per campata e il rosone centrale ricordano la struttura di un luogo di preghiera e invitano al silenzio.
Una luce soffusa, filtrata dal rosone, schiarisce appena il corridoio centrale mentre le campate laterali sono illuminate da un intenso fascio di luce proveniente dalle alte finestre.
Nei lati, come si è detto, furono posizionate le panche per la consultazione (parte superiore) e lo stoccaggio (parte inferiore) dei volumi rigorosamente incatenati alla struttura lignea degli scrittori per evitarne il furto.
Altri piccoli simboli della famiglia committente appaiono nei laterali delle panche (come si può vedere dall’immagine a fianco), all’estremità delle colonne nei capitelli nella targa posizionata appena sotto il rosone e nella scelta dei colori dell’intera sala: verde l’intonaco, bianche le colonne e rosso il pavimento in cotto.
Essendo aperta al pubblico chiunque avesse avuto desiderio, avrebbe potuto introdursi all’interno delle sale e sottrarre indebitamente materiale, così, l’amministrazione della Signoria decise di mettere in atto una strategia fece di questo luogo l’unica biblioteca al mondo umanistico-conventuale: l’amministrazione dello stabile venne affidata al comune di Cesena mentre l’ordine francescano ne rimase il custode.
Due chiavi per un unico stabile realizzato per chiunque avesse avuto il desiderio di istruirsi.
Nel corso degli anni, grazie soprattutto al lavoro di Novello Malatesta, il quale ricoprì il ruolo di mecenate per molti amanuensi chiamati a lavorare nella biblioteca, la struttura si arricchì sempre di più, andando a includere anche testi di carattere filosofico e scientifico.
Alla fine della Signoria, data la cura che la famiglia Malatesta riservò all’intero patrimonio librario, l’intera biblioteca fu in grado di vivere di rendita. Solamente con l’avvento dell’impero napoleonico – dal 1797 al 1814 – e la trasformazione dello stabile a caserma militare rischiò di minarne l’incolumità ma, fortunatamente, nulla fu toccato.
Oggi la Biblioteca Malatestiana conserva un patrimonio librario di 350.000 volumi: 100.000 appartenenti alla biblioteca moderna aperta al pubblico e 250.000 risalenti all’epoca della prima apertura. Di questi 250.000, 287 sono incunaboli (volumi a stampa realizzati tra la metà del 1400 e il 1500), 400 cinquecentine, 1.753 manoscritti dal XVI al XIX secolo e 17.000 tra lettere e autografi.
Tra le curiosità contenute nell’enorme patrimonio librario c’è un piccolo, piccolissimo libretto – il più piccolo al mondo leggibile senza lente di ingrandimento (15×9 mm), stampato a Padova nel 1897 (volumetto al centro dell’immagine) – contenente la dissertazione di Galileo Galilei riguardo alla possibilità di coesistenza della Teoria Copernicana e la religione cattolica dedicata a Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana consorte di Ferdinando I de’ Medici .
Oltre alle splendide opere raccolte sotto il patrocinio della famiglia Malatesta, furono numerosi i lasciti che, nel corso dei secoli andarono ad arricchire il patrimonio librario della Biblioteca.
Vorrei ricordare solamente i più importanti.
Il Fondo Renato Serra, direttore della biblioteca dal 1909 al 1915 che lascia l’intero archivio di manoscritti e delle sue opere dal 1935.
Il Fondo del giornalista e storico Alfredo Comandini che lascia: 14.000 volumi, 13.000 opuscoli, 4.000 stampe, 1.800 fotografie, 4.000 cartoline, 1.600 periodici, 1.193 annate di 397 quotidiani, centinaia di medaglie, monete, disegni, manoscritti e cimeli vari.
Il Fondo Nori, donato dalla famiglia nel 1986 e comprendente 31 manoscritti, 1 incunabolo, 329 cinquecentine e 4.354 volumi tra il XVII e il XX secolo e 100 periodici.
E, in ultimo, ma non per questo meno importante, il Fondo Zavatti che raccoglie documenti che testimoniano la sua attività di architetto e diversi progetti legati a opere di ristrutturazione dell’intera biblioteca.
Dal 1949 nella Biblioteca ha sede la Società di Studi Romagnoli e dal 2005 l’UNESCO decide di inserire la struttura nel Registro della Memoria del Mondo, programma realizzato proprio con lo scopo di salvaguardare i beni culturali dall’oblio.
Giunti al termine di questa avventura, non mi resta altro se non invitarvi a riflettere sull’importanza di fare cultura in una società in cui essa viene un po’ troppo bistrattata e sottovalutata.
Questo patrimonio deve essere conservato, materialmente, per essere visibile e consultabile, e spiritualmente perché continui a nutrire le nostre menti a volte dormienti.
L’uomo si è potuto evolvere proprio grazie a questo faticoso lavorio di copiatura e raccolta da ogni angolo del mondo.
Oggi abbiamo internet e le biblioteche digitali e dovremmo sfruttarle per ampliare la nostra conoscenza e per meglio imparare l’importanza della conservazione di inestimabili e insostituibili tesori.
Con questa riflessione vi rimando al prossimo capitolo di Biblioteche e bibliofilia in cui parleremo di un uomo straordinario, nonché abilissimo filosofo e appassionato bibliofilo.
Noemi Veneziani