Estratti
Da Gocce di Pier Paolo Mingolla
RESIDUI DI UN POETA CONTEMPORANEO
Faceva i risciacqui con il Rum, come ogni volta che il cielo si cominciava a tingere di magenta mentre i fili dei panni si spogliavano piano a piano e, nudi, raggelavano ai primi freddi dell’inverno. Chissà perché aveva sempre i soldi per l’alcool. Mai per una camicia, una pezza americana.
Comprava cravatte su cravatte; ne aveva una collezione. Le appendeva al muro di Ponte Milvio, custodendole nel cellofan, come un crocefisso soffocato dalle preghiere inconsistenti di vecchie zitelle, bifolche e petulanti. Come se una preghiera al giorno facesse bene tanto quanto le mele dei dottori o forse pregare morti d’altro cognome. Son morti comunque! La terra è sempre quella. Dante, forse, le ringrazierebbe.
Sacrificherebbe cento scopate con loro, per una notte d’amore con Beatrice. Lui, invece, no. Aveva pregato così tanto, che ormai era il Papa in persona a pregare che non bestemmiasse più. L’ombra si definiva con il far della notte e lo scricchiolio fiammante dei legnetti di selcio: Converse turchine stracciate, a prezzo stracciato, jeans stracciati, con toppe Burberry qui e là, bretelle d’un blu cobalto, camicia nera gessata, cravatta a pois argentata, Ray-Ban a goccia color verde oliva.
Chi era? Il sindaco dei poeti, così gli altri lo chiamavano. Voleva tutto dalla vita o, almeno, lo avrebbe senza dubbi voluto. Partì che era un mezzo idiota, segregato nei suoi idioti timori, finendo poi per essere un liceale festaiolo e rivoluzionario, amante del lavoro, delle donne e del bicchiere. Suvvia, non censuriamo l’erba! Cannoni d’armamento secolare. Quelli sì che facevano vincere le guerre senza ausilio d’armi! Al massimo il manganello dell’amore, quando c’era un passaggio a circolo di pere e fichi. Talvolta sbagliava alcune vocali. Più cresceva e più si particolarizzava il suo essere.
Ascoltava i ruscelli, giocava con i monti, parlava all’universo e sparlava delle stelle. Giocava con la vita, con il corpo e con la mente. Viaggiava senza riserve. Come se la benzina fosse gratis. Poi prese la patente e pianse insieme al portafogli. Scriveva, scriveva, scriveva. Si era insignito di tanti appellativi. Era un re “fatto da sé”. Studiava le parole, ma le derideva facendo l’attore. Faceva la dieta mediterranea, ma era sovrappeso di cultura. La sua taglia sarebbe stata senz’altro una XXXL. Gli calzava così a pennello, con i suoi occhiali quadrati poi, che avrebbe fatto con dedizione il professore di lettere, ma solo gli occhiali lo desideravano tanto.
Aveva mille strati di personalità, diverse smagliature, tante cicatrici, una ciocca bionda e un baffo di platino. Toglieva gli occhiali, ed era un attore, toglieva i guanti e il cappello, ed era un musicista. Si spogliava completamente, ed era nudo. Ogni tanto rimembrava i vecchi tempi, quando da piccolo prendeva le caffettiere, ne diventava un ingegnere esperto: le smontava, le rimontava, le rompeva, le aggiustava.
Quando apprese il meccanismo di funzionamento cominciò a rivoluzionare il giorno, pretendendo che fosse notte. Guardava con malocchio i pensionati, i politicanti (anche se per un periodo avrebbe con piacere intrapreso quella strada), le puttane, i papponi, i figli di papà, i vecchi poeti. Già! Loro… saggi e onniscienti. Poeti per noia, poeti per hobby, poeti per rendersi (in)utili. E di cosa gli parlavano? Viole, rose, sole, quadrifogli, vecchi paesi più giovani di loro. <<Diamine, non voglio ridurmi così. Datemi una guerra, almeno ne racconto gli orrori; datemi una tragedia, almeno ne scopro le macabre perversioni>>.
Il sindaco dei poeti aveva una vasta giurisdizione. Parcheggiava libri su libri nella libreria dell’anima. Di certo non amava le burocrazie. Forse morirà e tutti lo ricorderanno. La scelta è fondamentale:<<Irriverente alla Petronio? Lugubre alla Esenin? Lanciarsi contro la metro in corsa? Dio mio, che idiozia! Non sono mica un suicida comune! Un fucile a pallettoni in bocca e… boom! No, non sono mica un emulatore! Potrei collassare. Forse… ho deciso!
Morirò della morte più dolce. Morirò della morte più inusitata, ormai emarginata e lasciata ammuffire… Morirò di Poesia!>>.
Pierpaolo Mingolla
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