Introduzione alla figura del cantautore
In questo primo episodio della rubrica Fatti Letterari per il mese di aprile dedicato ai cantautori, ho deciso di trattare un tema un po’ diverso dal solito con modalità altrettanto differenti.
Infatti, da oggi, all’interno dei cinque appuntamenti mensili a cadenza settimanale, avrò il piacere di ospitare alcuni autori della casa editrice WritersEditor che interverranno direttamente per dare il proprio contributo.
Per inaugurare il loro ingresso all’interno della rubrica, ho pensato di trattare una tematica che mi è stata suggerita dalla lettura della raccolta di poesie del giovane Pierpaolo Mingolla.
Gocce, questo il titolo del libro, è entrato a far parte di un nuovo progetto lanciato dalla casa editrice e dedicato alla lettura in digitale: Progetto E-Book.
Posso capire che l’associazione e-book – cantautori possa sembrare alquanto strana ma, se ci pensate bene, i primi come i secondi hanno dovuto compiere delle modifiche per adattarsi meglio all’evolversi della società a cui è diretta la loro arte, sia essa scritta o cantata.
Con il trascorrere del tempo e l’avanzare della tecnologia, per i libri è diventato inevitabile doversi adattare alle nuove esigenze dei lettori che forse non amano in modo particolare la carta o vogliono semplicemente risparmiare, magari sono viaggiatori oppure abitano in una piccola casa che non ha lo spazio necessario per ospitare grandi librerie.
Anche i cantautori, nel loro piccolo, nel corso del tempo, hanno dovuto fare la stessa operazione per meglio adattarsi ai gusti e alle esigenze del pubblico di riferimento.
Un tempo infatti era sufficiente avere una chitarra in mano – o un qualsiasi altro strumento –, sedersi in strada e, una volta entrati in sintonia con il luogo e con i passanti, iniziare a cantare e a narrare storie di vita reale, di sentimenti vissuti per attirare gli sguardi incuriositi.
Oggi il mondo è diverso e l’arte, qualsiasi essa sia, deve seguire questa evoluzione per continuare a dare al pubblico ciò di cui esso sembra avere bisogno.
Non allarmatevi! Non ho nessuna intenzione di tenere lezioni storico-teoriche sulla figura del cantautore perché non ne possiedo né le conoscenze necessarie né, tantomeno, ne ho le abilità pratiche – non credo di essere in grado di suonare uno strumento diverso dal flauto dolce che comunque non tocco, per la fortuna di tutti, dagli anni delle medie.
Il mio scopo, durante questa nostra prima chiacchierata, non è altro che quello di percorrere insieme a voi i diversi momenti storici che hanno segnato la nascita e lo sviluppo della figura del cantautore in Italia.
Partiamo da una semplice definizione: il cantautore è colui che scrive, mette in musica e interpreta i propri brani.

Una semplice frase, che uno dei primi cantautori italiani – Armando Gill (1887 – 1945) – soleva utilizzare per introdurre i suoi spettacoli, potrà aiutare a capire meglio questa definizione:
«Versi di Armando» e «canzoni di Gill» «cantati da Armando Gill».
Se avete fatto caso alle date riportate tra parentesi nelle righe precedenti, converrete con me sul fatto che i cantautori non siano una specie nata quando, nel 1959, una casa discografica italiana – la RCA – ha deciso, per mano dei produttori Ennio Melis e Vincenzo Micocci, di inventarsi questo nome per caratterizzare un certo modo di fare musica, al contrario essi hanno alle spalle una lunga evoluzione storica che va indietro nei secoli e che trova un legame con le affascinanti figure dei cantastorie ma questa, appunto, è un’altra storia perché è solo nel 1960 che questo termine entra a far parte del panorama discografico nazionale.
Il primo dei nostri cantautori, riconosciuto come tale, è Gianni Meccia per il quale la RCA aveva deciso di associare la qualifica di cantautore che poi inizia a diffondersi e che trova la sua vera consacrazione in quello stesso anno grazie a un articolo apparso nei primi giorni del mese di ottobre sul Corriere d’Informazione e intitolato I “cantautori” promettono canzoni “mica stupide” – ve ne riporto un breve estratto:
«Sono state gettate le basi della categoria « cantautori ». Cosa vuol dire? È il sogno di alcuni giovani e quotati compositori di canzonette. Vogliono mettersi insieme, unire le ispirazioni e presentare una parata di cantanti-autori, di quelli però che scrivono testi « mica stupidi », canzoni che abbiano un significato nelle quali cuore non faccia rima con amore. Nel gruppo ci sono Maria Monti, Giorgio Gaber, Gino Paoli, Umberto Bindi e Gianni Meccia (quello che vuole uccidere le vecchie signore).»
Credo che in questo passaggio ci siano alcuni elementi fondamentali per comprendere la vera natura di un cantautore o, quantomeno, dei primi cantautori.
Questi artisti sono giovani, compongono canzonette dai suoni semplici e dai testi immediati – ma mica stupidi – e carichi di significato.
Cos’è dunque che fa del cantautore un artista diverso dagli altri cantanti da sempre presenti sulla scena?
Ciò che distingue gli uni dagli altri è l’impegno sociale e politico che i cantautori rappresentano attraverso le loro composizioni coinvolgendo il popolo e muovendo intere città.
Essi inseriscono nelle loro canzoni tematiche scomode per riproporle e renderle fruibili a chiunque abbia il desiderio di fermarsi e ascoltare.
Essi cantano di politica, cantano delle ingiustizie sociali mettendo al centro e dando voce a prostitute, barboni, malati di mente, poveri e così via (Enzo Jannacci, per esempio, si è adoperato molto per portare in luce i sentimenti e le condizioni di quelli che la società etichetta da sempre come emarginati).
Con la loro voce essi riportano in auge le vecchie canzoni popolari abbigliate di una nuova veste più adatta ai tempi.

Anni ’60
L’esperienza torinese dei Cantacronache di quegli anni ci ricorda che una caratteristica non esclude l’altra e così nascono composizioni che, non solo permettono alle vecchie ballate popolari di ritornare alle orecchie della gente, danno anche la possibilità di mettere l’accento, per la prima volta, su temi importanti come i morti sul lavoro, l’opposizione alla guerra e la lotta operaia.
Non hanno timore alcuno di esprimere il proprio pensiero accompagnati dalle note dei loro strumenti e dal suono dalla propria voce e sostenuti, nel loro operato, da importanti intellettuali come lo sono stati Italo Calvino e Umberto Eco.
Sono i ribelli della musica, giovani e volenterosi di cambiare un mondo che a loro non piace affatto.
Questa prima generazione di cantautori sente forte la contaminazione della cultura musicale francese e inizia ad aprirsi alla poesia dando vita a poesie musicate di splendida fattura come quelle tratte dai versi che Salvatore Quasimodo decide di affidare a Domenico Modugno perché questi le tramutasse in versi cantati.
Pensate ad autori come Pier Paolo Pasolini, Rodari e Ungaretti che hanno messo a disposizione le loro parole perché queste potessero toccare nell’intimo anche coloro che magari, alla poesia, non sono familiari.
I cantautori diventano l’animo del popolo italiano e iniziano a mettere a punto la propria tecnica di narrazione arrivando a cambiare, poco alla volta, il loro bacino di influenza a seconda delle esigenze politiche e sociali della loro nazione.
Così i modelli evolvono e i cantautori di un’America in cambiamento portano all’Italia nuove sonorità e nuovi artisti che si ispirano, questa volta, ai colleghi d’oltre oceano come Paul Simon e Bob Dylan.
I tempi cambiano così come le esigenze del pubblico in ascolto che ancora si fa trascinare dalla musica, che ancora si prende il tempo di fermarsi e restare ad ascoltare i testi di queste canzonette ma che, al contempo, inizia a ritirarsi nel privato scindendo la musica dall’impegno politico.
In questo momento storico tra i cantautori che emergono e che rimangono fedeli al loro impegno politico-sociale (Francesco Guccini, Lucio Dalla, Edoardo Bennato), ne affiorano altrettanti che invece decidono di dare maggiore importanza alla dimensione interna legata al sentimento umano (Claudio Baglioni, Riccardo Cocciante, Renato Zero).

Anni ’70
Se da un lato tutto il panorama musicale è pervaso da una costante spinta evolutiva che vede l’affermazione di numerose figure cantautoriali maschili, purtroppo, ciò che rimane invariata per tutto questo tempo è la carenza di presenze femminili che vengono lasciate in ombra e ricordate solo da coloro che, appassionati del genere, riescono a tenere alta l’attenzione su tutti i nuovi volti così come su quelli già conosciuti.
Sul finire del secolo, ecco arrivare gli anni Ottanta, momento in cui i generi Punk, Rap e Rock spopolano in tutto il Paese coinvolgendo, ovviamente, anche i cantautori che iniziano a parlare di vita vissuta e sentimenti utilizzando questi nuovi stili (Jovanotti, Enrico Ruggeri e Vasco Rossi).
Gli anni passano rapidamente e nella decade successiva la musica cantautoriale muta ancora una volta accentuando il proprio lato intimistico e lasciando sullo sfondo la lotta politico-sociale combattuta, fino a quel momento, a suon di chitarra.
Sono trascorsi trent’anni da questa ultima decade e, nel frattempo, il mondo è cambiato, le esigenze delle persone sono cambiate così come i loro bisogni e i loro gusti in materia di musica e non solo.
Cosa significa essere cantautore oggi?
È stata questa la domanda che ho rivolto ai nostri tre ospiti chiamati a raccontare la loro esperienza e a svelare la propria natura di autori-cantautori.
Lascio dunque a loro la parola riprendendola alla fine di aprile per tirare le fila di un’avventura che spero possa farvi appassionare.
Vi lascio con una piccola curiosità: ma voi lo sapevate che il primo a incidere una propria canzone – ‘a risata – su un 78 giri fu il cantautore napoletano Bernardo Cantalamessa nel 1895?!
Noemi Veneziani