Febbraio è ufficialmente arrivato e tutti gli innamorati del mondo si preparano a donare fiori, dolciumi e quant’altro alla propria amata o al proprio amato e, solitamente, durante questa ricorrenza, le protagoniste indiscusse sono, per l’appunto, le rose rosse.
Ebbene, a tal proposito, ho deciso di raccontarvi la storia di questo meraviglioso fiore portatore di profondi sentimenti quali amore, amicizia, gelosia e purezza.
Tuttavia, per rispettare il carattere non ordinario di questa mia rubrica, non vi presenterò in modo lineare fatti e aneddoti relativi alla rosa in generale e ad alcune delle sue specie più particolari – alcune delle quali sono spesso state utilizzate in letteratura – bensì passeremo attraverso le parole di un dramma teatrale composto nel 1935 da Federico Garcìa Lorca e rappresentato in prima assoluta al Teatro Principal di Barcellona in quello stesso anno.
Per il momento però non voglio svelarvi nulla della trama dell’opera – avremo modo di conoscerla durante il corso di questo primo articolo – perché vorrei che concentraste tutte le vostre attenzioni su un aspetto che trovo particolarmente curioso e interessante: la rosa sembrerebbe essere infatti uno dei pochi fiori che hanno mantenuto il proprio significato allegorico nei secoli mutando e adattandosi all’evolversi della società umana.
Dal paganesimo al cristianesimo, la rosa è sopravvissuta a qualsiasi calamità reinventando continuamente il proprio significato e mutando saltuariamente il proprio aspetto.
Come è avvenuto questo processo?
Quando e come si è sviluppata questa tendenza di assegnare ai fiori significati allegorici legati alle passioni umane?
Da dove è nato il mito che si nasconde dietro all’eterna rosa?
Daremo risposta a tutte queste domande nel corso del mese: per il momento iniziamo dal principio.
Secondo gli archeologi e i botanici, la rosa è una specie floreale nata nelle terre d’oriente. Durante l’età del bronzo sembrerebbe infatti che questa venisse coltivata dai greci, i quali non impiegarono molto tempo prima di creare un mito ad hoc che giustificasse l’esistenza terrena di un fiore così bello e profumato.
Una delle leggende più note racconta di Adone – giovane e prestante cacciatore – il quale rimane ucciso a seguito di ferite riportate dopo l’attacco di un cinghiale. A nulla sono servite le premure rivolte al giovane dalla bella Afrodite – dea dell’amore – la quale, nel tentativo di salvare la vita al proprio amato, si ferisce con un cespuglio di rovi su cui crescono, dal sangue della dea, piccole roselline rosse.
Nell’assistere alla scena Zeus, commosso dall’amore di lei, concede ad Adone di vivere 4 mesi nel mondo dei vivi, 4 nell’Ade e i restanti 4 dovunque egli desiderasse assegnando all’amore e alla vita la vittoria sulla morte.
Senza sconfinare oltre i limiti dell’antica cultura greca, possiamo ricondurre la rosa a un potente antidoto abitualmente utilizzato dai frequentatori di allegri banchetti organizzati per celebrare il culto del Dio Dioniso: Durante queste occasioni era piuttosto comune perdere il lume della ragione e iniziare a parlare a sproposito a causa delle ingenti quantità di vino consumate; in questo stato di totale ubriachezza, la rosa poteva servire come antidoto all’eccessiva parlantina.
Compiendo un rapido spostamento nella nostra Italia, durante l’impero romano, i cittadini erano soliti celebrare i rosalia – festività legata ai morti – tra l’11 maggio e il 15 luglio: durante il lungo periodo di cristianizzazione di tutte le civiltà facenti parte del vasto impero, il culto dei rosalia assume il nome di Pentecoste o Pasqua delle rose.
Come abbiamo detto all’inizio, la rosa è stata un interessante soggetto allegorico da impiegare efficacemente in letteratura per trasmettere al lettore importanti significati. Per esempio, nel celebre racconto di Apuleio, L’Asino d’oro, Venere–Isis consiglia al protagonista, Lucius, di mangiare alcuni petali di rosa provenienti da fiori contenuti in un rosario sorretto dalle mani di un abate come processo di redenzione spirituale e riacquisizione delle proprie sembianze umane.
Un altro interessante componimento, in cui tuttavia è il Tempo a ricoprire il ruolo di assoluto protagonista, mette nuovamente al centro dell’attenzione dello spettatore la rosa in numerose sue varianti: tutte a simboleggiare l’infinita ammirazione che l’autore del dramma nutre per queste fragili creature della terra.
Come si è detto nell’introduzione, l’autore di cui stiamo parlando è Federico Federico Garcìa Lorca e l’opera è Donna Rosita nubile o il linguaggio dei fiori, un dramma in tre atti ambientato a Granada – città particolarmente amata dall’autore andaluso.
In una Granada del 1885, la giovane e bella Rosita – rimasta orfana e amorevolmente accolta nella dimora degli zii – deve fare fronte a un forte dolore provocato dalla perdita del proprio amore – suo cugino – obbligato a raggiungere la propria famiglia in Argentina con la promessa di tornare quanto prima per convolare a nozze. Gli Anni passano e il 1900 spalanca i battenti a un nuovo secolo; non è così per la giovane la quale rimane fedelmente in attesa ricamando raffinati corredi nuziali. Tutto attorno a una Rosita ormai cresciuta cambia ed evolve. L’intera esistenza scorre attraverso lo scorrere del tempo; lo stesso aspetto esteriore di Rosita cambia ma lei sembra non accorgersene. Fino all’ultimo atto, fino al 1911, in cui la vita è ormai interamente trascorsa e, mentre l’amato cugino sembrerebbe essere stato travolto dal trascorrere del tempo che lo ha portato a rifarsi una vita in Argentina, per Rosita nulla ha più senso ritrovandosi improvvisamente vecchia e sola, priva anche di quelle belle e colorate rose che avevano un tempo rallegrato il prezioso giardino dello zio – loro amorevole custode.
Piccola curiosità prima di introdurvi all’opera: si racconta che, per realizzare il dramma, Lorca abbia preso ispirazione dalla triste vicenda vissuta da sua zia Clotilde Garcìa Picossi vittima della stessa sorte toccata a Rosita.
Qual’è dunque la prima varietà di rosa che l’appassionato zio menziona nel primo atto dell’opera?
La Rosa Muscosa.
Parla lo zio di Rosita entrando nella serra e riferendosi alla moglie e alla governante – « Voi avete la minima idea di cos’è la mia serra. Dal milleottocentosette, anno in cui la contessa di Gand ottenne la rosa muscosa, nessuno al di fuori di me in Granada è riuscito a ottenerla, neppure il botanico dell’università. Esigo che abbiate più rispetto delle mie piante.»
Nata da una spontanea mutazione genetica avvenuta nella più comune rosa centifolia attorno alla metà del XVIII secolo in territorio francese, la rosa muscosa presenta come carattere peculiare una leggera peluria appiccicosa intorno alla gemma e lungo il fusto. Questa specie di resina è particolarmente profumata perciò, nel corso del IX secolo, in Persia si è iniziato a distillarne il succo così da poterlo utilizzare come profumazione.
Trasportata questa pratica in territorio europeo per tramite di spedizioni belliche e migrazioni di popolazioni arabe verso il nostro continente, è solo nel 1580 che si inizia a separare l’essenza contenuta nella resina dall’acqua distillata – questo processo permette di diversificare gli utilizzi di uno stesso prodotto naturale.
Incuriositi da questo nuovo fiore, I botanici francesi iniziano a studiarne il fenomeno e a compiere delle ibridazioni fino a quando, nel primo ventennio del XIX secolo, nel vivaio di jean Pierre Viber, nasce spontaneamente un primo esemplare di rosa muscosa semplice, a foglia singola e facile da impollinare – a differenza delle rose già presenti da secoli sul territorio e solitamente caratterizzate da una singola fioritura.
Dopo questo avvenimento, la febbre per la produzione e la coltivazione della rosa muscosa cresce notevolmente infatti, durante la prima metà del secolo, se ne registrano massicce coltivazioni e, se in questo processo la Francia rappresenta il produttore principale, l’Inghilterra vittoriana ne diventa il primo consumatore facendo utilizzando questo fiore come ornamento per la casa e capi di abbigliamento – pensate che quella moda si diffonde al punto che, ancora oggi, questo fiore viene convenzionalmente identificato come simbolo distintivo di quel periodo.
Nonostante la sua notorietà, nell’ultimo quarto del XIX secolo, forse perché considerata ormai un fiore troppo eccentrico, la rosa muscosa viene lasciata da parte favorendo altre qualità di fiori fino a Lorca il quale, amante di queste meravigliose piante, per tramite dello zio di Rosita la riporta in auge ricordandone l’antico e intenso profumo.
Noemi Veneziani