È una rosa che non ho mai visto, una sorpresa! la rosa reclinata con i boccioli all’ingiù, l’inerme senza spine – senza spine, pensa che meraviglia – la myrtifolia che viene dal Belgio e la sulfurata che brilla al buio […]»
Pensate che meraviglia potersi ritrovare immersi nelle tenebre più fitte e riuscire a percepire il brillio di una piccola luce emanata dai gialli petali della rosa sulfurea.
Quale gioia sarebbe!
O meglio, noi oggi diremmo così ma non è certo che anche i nostri avi la pensassero allo stesso modo anzi, sembrerebbe che per loro questo splendido fiore fosse portatore di messaggi negativi come l’invidia, la gelosia o addirittura l’odio. Tanto è vero che un mazzo di rose gialle veniva solitamente portato come dono da parte di fidanzati gelosi o partner che volessero porre fine alla relazione.
Ma, per quale motivo, un fiore dal colore così bello e vivace è stato associato ad aspetti tanto negativi per tutto questo tempo?
Originaria del Medio Oriente – dove questi ibridi crescono spontaneamente – la rosa sulfurata viene introdotta in Europa attorno al XVIII secolo. A quel tempo le rose sono fiori già largamente coltivati e i botanici e i vivaisti non vedo di buon occhio questa nuova arrivata priva di quel caratteristico profumo (quello che comunemente associamo alla rosa Tea, per intenderci) che si tenta di farle assumere attraverso bislacchi esperimenti – per la maggior parte non riusciti.
Eppure, nonostante le premesse, oggi sembriamo essere diventati più allegri tanto da iniziare ad associarle significati più positivi come saggezza, amicizia, gioia e amore platonico.
Quello stesso amore che Rosita vede sgretolarsi, pian piano, davanti ai suoi occhi radicata nell’attesa di un amore che ha deciso di guardare avanti, verso il suo futuro lontano dalla propria terra e dalla vecchia amante.
Alla fine del dramma Donna Rosita nubile o il linguaggio dei fiori la protagonista viene definitivamente additata come la vecchia e sciocca zitella.
«La vida mansa por fuera y requemada por dentro de una doncella granadina que, poco a poco, va convirtiéndose en esa cosa grotesca y conmovedora que es una solterona en España.»
«La vita mite di fuori e quella triste tenuta dentro da una fanciulla grenadiana che, a poco a poco, sta diventando quella cosa grottesca e toccante che è una zitella in Spagna.»
È proprio questo il punto a cui vuole arrivare Lorca con il suo dramma, a compiere un’analisi della società spagnola a cavallo tra XIX e XX secolo utilizzando come soggetto narrativo il Tempo accompagnato da numerose damigelle d’onore, quali sono le rose, che mutano ed evolvono fino alla sfioritura finale.
E di finale mi tocca parlare nell’invitarvi a richiamare alla mente ciò che vi dissi nel momento in cui parlammo delle rose araldiche e, in particolare, della rosa bianca simbolo di purezza e innocenza perché, questa volta, mi è stato assegnato l’arduo compito di raccontarvi per sommi capi l’esistenza di questo grande poeta spagnolo la cui vita è stata prematuramente spezzata dalla cattiveria dell’uomo nelle primissime battute di quella che poi sarebbe diventata la Guerra civile spagnola combattuta tra il 1936 e il 1939.
Nato nel giugno del 1898 nel municipio granadino di Fuente Vaqueros, Federico Garcìa Lorca comincia a dimostrare fin da giovane una spiccata passione per l’arte e per la politica iniziando molto presto a circondarsi di una folta cerchia di amici e conoscenti; tra questi, Salvador Dalí ricopre un ruolo fondamentale rappresentando per Lorca molto più di un semplice amico con cui trascorrere le lunghe giornate di Pasqua del 1925 – durante quella vacanza, complice la convivenza prolungata, i due artisti fondono insieme le proprie abilità influenzandosi a vicenda e dando vita a forme d’arte più complesse.
Due anni più tardi, spinto dagli amici scrittori, Lorca entra a far parte della Generazione del ‘27, un gruppo di intellettuali che nel dicembre di quell’anno decidono di riunirsi a Siviglia in occasione delle celebrazioni per i 300 anni dalla morte di Luis de Góngora – un importante religioso, poeta e drammaturgo spagnolo del Secolo d’Oro nonché massimo esponente della corrente letteraria conosciuta come culteranismo o gongorismo.
Sommerso dagli impegni scolastici e lavorativi, Lorca inizia a nascondere una nascente depressione causata dall’impossibilità di vivere liberamente la propria omosessualità; pensieri di morte iniziano a visitarlo sempre più spesso spegnendone ogni gioia di vita. Fortunatamente l’amico e protettore Fernando de los Ríos, venuto a conoscenza dello stato d’animo del poeta, decide di assegnargli una borsa di studio con cui poter trascorrere un periodo di tempo a New York.
Dal 1929 al 1930 Lorca ha la possibilità di sviluppare la propria arte e di lasciarsi ispirare dalle condizioni di vita degli abitanti della grande città vessati da profonde differenze sociali che ne condizionano i comportamenti e il pensiero. Da questa esperienza egli ne trae una delle raccolte poetiche più conosciute e pubblicata postuma nel 1940: Poeta en Nueva York è il manifesto poetico dell’alienazione che la grande città e la modernità imperante provocano sull’essere umano portandolo a compiere gesti che di ‘umano’ non hanno più nulla.
Dopo aver trascorso anche un breve periodo di tempo a Cuba, Lorca fa ritorno in Spagna come un ‘uomo nuovo’ capace di comprendere a fondo l’importanza di una battaglia volta a costruire un mondo più equo e in cui le differenze non devono servire come pretesto per farsi la guerra o esternare il proprio odio e il proprio malessere.
Nel 1931, con l’instaurazione della Seconda Repubblica, Lorca riprende la sua attività seguendo da vicino le messe in scena della compagnia di teatro ambulante La Barraca formata da un gruppo di studenti universitari che decidono di rappresentare per il paese le opere del teatro del Secolo d’Oro (Lope de Vega, Miguel De Cervantes e così via) – i finanziamenti al progetto sono assicurati dal Ministero della finanza diretto dal socialista Fernando de los Ríos.
Il 1933 vede il poeta nuovamente in viaggio verso il Nuovo Mondo; questa volta la destinazione è Buenos Aires, città in cui la compagnia di Lola Membrives ha da poco messo in scena il dramma teatrale Bodas de sangre (Nozze di sangue). Durante i sei mesi trascorsi nella capitale Argentina, oltre che a dirigere le numerose rappresentazioni arrivando a contarne più di 150!, Lorca si dedica a coltivare nuove amicizie – conosce Pablo Neruda – e a tenere occasionali conferenze in merito alla scrittura e al teatro.
Raggiunto il successo e l’indipendenza economica, dopo un anno lontano dal suo Paese, il poeta fa ritorno a casa e accelera sempre di più il proprio ritmo lavorativo: porta a termine la scrittura di molte opere – tra cui quella dedicata alla nostra Rosita –, revisiona componimenti poetici realizzati negli anni precedenti, viaggia a Barcellona per recitare i suoi poemi, tiene conferenze e dirige personalmente alcune delle sue scritture affiancando la compagnia La Barraca che si esibisce per l’ultima volta nella sala grande dell’Ateneo dell’Università di Madrid: El caballero de Olmedo di Lope de Vega va in scena nella primavera del 1936.
In quegli anni Lorca lavora senza sosta ma i suoi numerosi contatti con personaggi appartenenti all’ambiente progressista gli valgono un’immediata segnalazione ai vertici del governo da parte dei membri più conservatori.
Corre l’anno 1935 e le sue opere iniziano ad apparire incomplete, prive di quelle parti considerate compromettenti e volgari solo perché portatrici di un messaggio di amore incondizionato, puro e libero da qualsiasi vincolo sociale.
Ben consapevoli della precaria situazione politica spagnola, gli ambasciatori di Colombia e Messico offrono asilo al grande poeta che in tanti cercano di proteggere proprio perché preso di mira dal regime franchista eppure, per lui non sembra esserci una ragione sufficiente per abbandonare il proprio paese – in questo senso rimane emblematica la risposta rivolta a coloro che gli domandano da che parte si sarebbe schierato.
Dalla parte di tutti e dalla parte di nessuno perché non esiste persona che non meriti amore e rispetto; è questa la vera forza di Lorca, credere nel fatto che esista un fiore – la rosa – che possa simboleggiare quella vita tanto bella e preziosa degna di essere amata e protetta a ogni costo.
L’ultimo amico a dare rifugio all’autore è Luis Rosales il quale viene costretto ad assistere all’arresto del poeta avvenuto nella mattinata del 16 agosto 1936 quando, un gruppo di truppe franchiste bussano alla sua porta.
Lorca viene processato e condannato come presunta spia socialista e omosessuale: senza opporsi al verdetto egli trascorre la sua ultima notte in un carcere improvvisato a Viznar poco distante da Granada.
Il 18 agosto 1936, la Spagna si raccoglie in silenzio per dare l’addio al suo grande autore fucilato all’alba di quello stesso giorno sul cammino da Viznar a Alfacar e gettato in una fossa comune insieme ai compagni che viaggiano con lui.
È solo nel 1953 che il governo spagnolo decide di riabilitare una parte della produzione lorchiana relegando all’anno 1983 il compito di abolire definitivamente la censura precedentemente applicata a tutta l’opera poetica poco alla volta ripubblicata integralmente regalando agli spagnoli, e al mondo intero, alcuni dei componimenti poetici più belli della letteratura spagnola del Novecento.
Credo che non ci siano parole migliori per salutarvi e per ricordare, ancora una volta, il significato positivo che questo meraviglioso fiore – che abbiamo esplorato in lungo e in largo – porta con sé, se non richiamando alla mente le parole che Federico Garcìa Lorca ha dedicato all’amico Salvador Dalì.
«Ma anche la rosa del giardino dove vivi.
Sempre la rosa, sempre, nord e sud di noi stessi»
«Non è l’Arte la luce che ci acceca gli occhi.
Prima è l’amore, l’amicizia o la scherma.»
– Ode a Salvador Dalí –
Revista de Occidente [1926]
Noemi Veneziani