Anteprima non editata |
Il bastardino era sdraiato su un fianco, del tutto immobile, innaturalmente tranquillo come se si fosse assopito proprio lì, al centro della radura di pietrisco e terriccio, tra le betulle incendiate dall’autunno. In un primo momento Gerry pensò davvero che stesse dormendo, avvolto dalla penombra che andava allungando le sue coltri scure, assorbendo gli ultimi scampoli di luce. Il sole era infatti svanito quasi completamente dietro la linea dell’orizzonte, oltre i campi disusati che si stendevano alle spalle del complesso di palazzine popolari. L’ultimo lampione funzionante era ubicato otto o nove metri più in là, al confine con il cortile condominiale, seguito da altre due lucerne di mesto alluminio nero le cui lampadine erano state distrutte innumerevoli volte dai vandali, finché nessuno si era più preso la briga di sostituirle.
«Cos’è quello, Gerry?» chiese Lucio, alle sue spalle, allungando il collo nel tentativo di mettere a fuoco la sagoma dell’animale nell’oscurità sempre più incalzante.
«Credo sia un cane» rispose lui in un tono che si fece tremulo e si spense sull’ultima parola, tanto che il fratello dovette affiancarsi a lui e chiedergli di ripetere quanto avesse detto.
Gerry non rispose. Aveva infine compreso che il bastardino non stava affatto sonnecchiando abbandonato mollemente sul fianco destro, colto da un torpore improvviso, le costole visibili attraverso il ventre magro, il pelo chiaro completamente insudiciato dal
terriccio in cui si era accasciato. I cani non dormono in quella posizione, con la testa reclinata all’indietro e le gambe anteriori divaricate. Lui lo sapeva, tempo addietro aveva avuto due Labrador e aveva imparato bene i loro comportamenti. Luna e Sole, si chiamavano. L’una era chiara come un astro al mattino, l’altro aveva un adorabile colorito aranciato che richiamava i raggi del sole. Era stato suo padre a suggerirgli i nomi, quando li aveva portati a casa, poco più che cuccioli con occhioni spropositati e un poderoso bisogno d’amore. Il regalo di Natale più bello della sua vita. Della sua vecchia vita.
Vecchia vita, ripeté tra sé, tentando di mandar giù il familiare nodo alla gola che l’attanagliava ogni qualvolta ripensava a suo padre. Si può avere un vecchia vita a sedici anni?
«Ma quello è…» quasi strillò Lucio, strappando il fratello alle sue elucubrazioni.
«Sangue» concluse Gerry, avvicinandosi al bastardino che, ormai era evidente, non stava affatto dormendo.
«Mio Dio» mormorò il ragazzino, che si era affiancato al fratello e osservava sgomento l’infelice scena ai suoi piedi.
La testa del cane era ricoperta da rivoli di sangue che colavano da almeno quattro ferite e confluivano in una pozzanghera che si allargava sotto il muso dell’animale, dischiuso a lasciar intravedere la rosea lingua tra una fila di denti aguzzi ormai inoffensivi. L’occhio scuro era spalancato e rivolto al cielo, quasi immerso in una sbigottita preghiera destinata a rimanere inascoltata.
«Che cazzo gli sarà successo?» domandò Lucio, in un
tono di voce che voleva apparire spavaldamente distaccato, con scarso successo.
«Le parolacce» lo rimbrottò come d’abitudine il fratello, quasi in un sussurro.
«Che cavolo gli è successo?» ripeté il ragazzino altrettanto automaticamente, gli occhi azzurri incollati al cadavere del cane, incapaci di distaccarsi dalla macabra immagine, le labbra dischiuse e tremolanti.
«L’hanno lapidato» rispose Gerry, lanciando un’occhiata ai sassi sparsi intorno al corpo della bestiola, alcuni dei quali imbrattati del sangue dello sventurato animale. «Quasi sicuramente le pietre l’hanno colpito in testa ed è morto.»
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